Le parole significano. Le parole vogliono dire.
Anche a febbraio vi regalo una parola: COMPLESSITA’.
Parola inflazionata, pluri-utilizzata, a volte banalizzata o strumentalizzata. Quando qualcosa (una situazione, un problema, un’organizzazione, una relazione) è faticosa da spiegare usiamo la parola complessità o complesso. Sembra quasi che se non può essere del tutto compresa, qualsiasi cosa si decida di fare può andare bene. Non è esattamente così, perché la complessità è complessa!
La complessità, infatti non può essere spiegata, perché non ha pieghe, ma intrecci. Sono le cose complicate (cumpli cum) che hanno le pieghe e volendo possono essere s-piegate. Le cose complesse (cum plexus) hanno nodi, collegamenti, reti e vanno comprese nel loro insieme.
Le situazioni complesse sono sfidanti, perché imperfette, mutevoli e incerte. Di conseguenza non tutto è predeterminabile e anticipabile.
Ad esempio, nelle organizzazioni complesse non c’è la soluzione «giusta» e il riferimento al passato non basta. La complessità ci chiede di accettare errori e fallimenti, di farceli amici.
Accogliere le sfida di gestire nella complessità significa quindi, concedersi delle possibilità. Si, ho scritto giusto: gestire nella complessità, non gestire la complessità. La complessità non si gestisce, si sta nella complessità, con l’intento di essere ragni, creare reti e sfruttarne le opportunità e non prede che ne rimangono imbrigliate.